Cassandra. Il diritto di parlare.

Giacomo Garaffoni, Michele Ambroni, Sofia Rossi

Indocile Collettivo

 

*Premio giovane arte contemporanea 2021. Regione Emilia Romagna.

 

Cassandra viene portata via da Troia all’indomani del massacro compiuto dagli eroi greci, durante la presa della città. Cassandra è una veggente, Cassandra è maledetta, Cassandra ha le visioni, vede un futuro a cui il mondo non crede, Cassandra è una strega, Cassandra porta sfortuna, Cassandra ha rifiutato Apollo che le ha sputato sulle labbra e l’ha condannata a rimanere inascoltata. Cassandra guarda il muro, il 27 ottobre del 1946, chiusa in un manicomio, e guarda le altre. Smorfiose, loquaci, pedanti, petulanti, parlavano tutte troppo. Questo è bastato come diagnosi e allora le hanno chiuse tutte in manicomio. Cattive madri, donne sbagliate.

 

Attraverso un viaggio sul confine sottile tra veggenza e follia, l’autore e performer cesenate Giacomo Garaffoni  scrive il testo di un monologo, dolce amaro e feroce, a partire dall’intensa Cassandra della scrittrice tedesca Christa Wolf.

La maledizione che grava su Cassandra spezza la funzione del suo dire, colei che vede oltre il tempo è condannata a non venire ascoltata, la sua parola diventa sterile.

La malattia mentale è stata a lungo la museruola messa in faccia a migliaia di donne per rimuoverle dalla società. Per abolirle e chiuderle fuori.

Cassandra si chiama Giovanna, Maria, Rosalba, Vera…

Cassandra restituisce un nome a tutte quelle a cui è stato tolto. Tutte le donne che sono state buttate via, soltanto perché parlavano troppo.

 

Inizia il giorno dopo la presa di Troia, il giorno dopo l’incendio, il giorno dopo, in un ospedale psichiatrico, su una nave greca, davanti ai leoni di Micene, legata al letto, legata a una sedia. In questo scenario, in cui tempo e spazio perdono inesorabilmente di significato, Cassandra va incontro alla morte, è la fine un assedio lungo un’eternità, o durato soltanto una notte.

Questo lavoro site specific, nato da un’idea di Garaffoni, prende forma in uno spazio ogni volta diverso, preferibilmente legato al contesto ospedaliero e antico che racconta, e viene allestito dall’artista visivo Michele Ambroni e dalla scenografa Sofia Rossi. Il lavoro verte sull’archivio fotografico e clinico dei reparti di psichiatria italiana di inizio del 900 e insiste sul collasso dell’identità delle pazienti, private di credibilità e rimosse dalla società. Le immagini allegate alle cartelle cliniche sono gravate da un’oscura importanza, i principi in uso in quel particolare momento storico, cercavano di riconoscere la devianza e la malattia mentale nei tratti fisici: nello sguardo, nell’asimmetria del volto, in uno zigomo diverso dall’altro. Ma c’era anche una ragione sociale, quella di descrivere la devianza per renderla riconoscibile dimensionata e controllabile. Non ultimo, ogni foto, abbinata ad ogni nome, marchiava, senza possibilità di ritorno le persone internate come malate, come maledette.

Da qui viene la scelta di sfigurare questi simulacri e di segnarli irrimediabilmente.

Lo spettatore attraversa un percorso sulla memoria e sul concetto stesso di abolizione che lo guida ad un catartico momento performativo. Una discesa dello sguardo e del sentire che porta con sé il ricordo e il calco dell’incendio di Troia. Una caduta verso ciò che è abbandonato, indocile e solo in apparenza dimenticato.

 

Testo, regia e concezione: Giacomo Garaffoni

Con: Giacomo Garaffoni e Giulia Astolfi

Installazione: Michele Ambroni

Luci e scene: Sofia Rossi

Foto di scena: Francesco Girardi

Figuranti: Diana Calbucci e Elena Menghi

 

Prodotto dal FAI, Fondo per l’Ambiente Italiano dalla Regione Emilia Romagna e da Ferretti Consulting, con il sostegno

dell’assessorato alla cultura del Comune di Cesena, della sovrintendenza dei beni culturali

e di We Reading, (ass. Ishmael and the elephant).

Le immagini utilizzate sono esposte ed elaborate per gentile concessione della mostra:

I fiori del male. Donne in manicomio nel regime fascista, a cura di Annacarla Valeriano

e Costantino Di Sante (2016)