Sono convinto che molti artisti passino una vita a studiare e formare la propria strategia di contatto con il mondo. Che sia il rapporto con la propria voce, con uno strumento musicale, la genesi di uno stile, una tecnica pittorica o scultorea. Credo invece che il mio destino riguardi il bisogno di trovare ogni volta una strategia diversa. Come se sentissi l’urgenza di trovare costantemente nuovi pretesti e nuove strade per recarmi sul ciglio del burrone. Osservatore dell’enigma senza tempo dell’assenza. Il centro del mio lavoro in questo modo diventa una ferita, sempre comune e sempre condivisa. La profonda reazione emotiva che l’esposizione di questo squarcio nella comunità che ogni sera si riunisce, nella caverna primitiva rappresentata dal teatro. Il pubblico è testimone attivo di un evento che lo coinvolge fino alla viscere.